A tal riguardo, pubblico la lettera che i ricercatori della rete 29 Aprile hanno scritto per protestare contro la proposta di legge Gelmini.
Ed infine un link per un documento PDF che spiega bene cosa cambierà il nuovo DDL.
Un ringraziamento alla professoressa Marin che ha gentilmente reso disponibili questi materiali.
Care
Studentesse, cari Studenti, gentili Genitori,
come
probabilmente avrete sentito, l’Università italiana vive una fase
di profondissima crisi. Si parla tanto di riforme, di premiare il
merito, di eliminare gli sprechi, il baronato, il nepotismo, di
innalzare la qualità della didattica e della ricerca, ma finora il
governo, con le ultime leggi finanziarie, è stato solo capace di
ridurre del 20% i finanziamenti all’Università e alla ricerca
pubblica. Del 20%!!! C’è da chiedersi: quale altro comparto del
sistema statale ― Trasporti, Sanità, Giustizia ― potrebbe
reggere un taglio così devastante? Allo stesso tempo è in
discussione una “riforma” dell’Università (il DdL Gelmini)
che, sistematicamente, va nella direzione opposta agli slogan
sbandierati pubblicamente: merito, spazio per i giovani, lotta ai
baronati, sostegno al diritto allo studio.
Ciascuno di questi principii, che tutti
condividiamo, sarà molto più lontano se questa “riforma”
dovesse essere
approvata.
Queste
politiche avranno delle conseguenze di cui tutti devono essere
informati e coscienti.
La
prima conseguenza sarà un aumento progressivo delle tasse
universitarie, già a partire dal
prossimo anno accademico. A tale aumento ne seguiranno altri. Tra
tre/cinque anni le tasse universitarie potrebbero raddoppiare. È
questa la soluzione alla crisi per il nostro Paese? Perché gli altri
paesi avanzati (USA, Germania, Francia) aumentano invece, a fronte
della crisi, le risorse per l’istruzione, l’Università e la
ricerca? Con questi tagli l’Italia è il paese europeo che investe
di meno nella ricerca e nell’Università: solo lo 0,8% del PIL,
cioè della ricchezza del paese. La media europea è dell’1,4%, ma
i nostri principali “concorrenti” (Germania, Francia, Gran
Bretagna) investono da tre a cinque volte più dell’Italia.
La
seconda conseguenza sarà la riduzione dei servizi agli studenti.
Diminuiranno le borse di studio, le mense, le case dello studente,
verranno tagliati molti corsi di laurea e verrà esteso il numero
chiuso a moltissimi corsi di studio. Il governo afferma di voler
tutelare il diritto allo studio eppure, in 60 anni di vita
repubblicana, non è mai stata fatta una seria politica in tal senso.
Solo le famiglie ricche e non troppo numerose potranno in futuro
affrontare la scelta di una formazione universitaria di qualità per
i propri figli. Questo non è giusto, non è civile, non è degno del
nostro Paese.
La
terza conseguenza sarà la “perdita” di migliaia di persone
qualificate che lavorano nell’Università. Troppo
spesso la televisione e i giornali danno un’immagine distorta
dell’Università. L’Università dei “baroni”, degli amici
degli amici; l’Università degli sprechi e dei fannulloni.
Certo, anche nell’Università, come altrove,
esistono casi di gestione poco trasparente, che vanno
senz’altro contrastati. Ma non dimentichiamo che vi lavorano, con
spirito di abnegazione e sacrificio, e con retribuzioni che rasentano
il ridicolo, migliaia e migliaia di giovani. Forse
non sapete che molti di quelli che giustamente chiamate “professori”
sono precari, il cui futuro è compromesso dai tagli all’Università
pubblica, previsti già a partire da quest’anno;
altri, molti altri, sono Ricercatori, i
quali tengono i corsi senza riconoscimenti, né istituzionali né
economici, facendo un’opera di volontariato aggiuntiva e gratuita
che va al di là dei loro compiti. E forse voi genitori non sapete
che, senza il contributo dei precari e dei ricercatori, l’Università
non potrebbe garantire, nonostante l’aumento delle tasse,
quell’alto livello di ricerca e formazione che, oggi più che mai,
il mercato del lavoro richiede.
L’Università
attende una riforma. Una riforma che
punisca i privilegi, le cricche, gli sprechi e incentivi una
didattica e una ricerca di qualità.
La riforma del ministro Gelmini,
punirà invece soprattutto i deboli, quelli che non sono tutelati,
facendo pagare il conto solo alle nuove generazioni, cioè agli
studenti e ai “giovani” ricercatori, precari e non. I ricercatori
oggi esistenti (oltre 25.000) vengono per legge “rottamati”: la
loro categoria semplicemente scompare, come se fosse inutile e
improduttiva. La “riforma” Gelmini, al contrario è cucita su
misura dei pochi che già oggi detengono il potere
universitario (e ai quali il Governo stesso imputa il fallimento del
sistema attuale!), consegnando loro “le chiavi” delle università
italiane. Una “riforma” che riduce la democrazia ed il controllo
sugli organi interni degli atenei; relega i giovani studiosi in un
limbo di 11-13 anni di precariato (cosa impensabile in qualsiasi
altro paese europeo) dopo il quale anche l’eventuale assunzione
sarà incerta, poiché dipendente comunque dalle risorse finanziarie
disponibili (in quel momento e in quell’ateneo) e non dal merito
individuale effettivamente dimostrato. Una “riforma” che riesce
nel capolavoro di mettere assieme il peggio della vecchia Università
pubblica e della gestione privatistica e personalistica dei beni
comuni. Basta guardarsi intorno, l’atteggiamento verso questo
tentativo la dice lunga: plaudono i vecchi potentati, che non credono
a tanto omaggio; la contrastano i ricercatori, i precari e gli
studenti e sempre di più anche moltissimi professori, quelli che
credono nella dignità del loro ruolo di educatori e di studiosi.
Per
queste ragioni i ricercatori,
assieme a molti studenti e a
tutti coloro che hanno a cuore una Università pubblica, libera e
aperta, stanno oggi lanciando alto e forte un segnale d’allarme.
Chi
sono i ricercatori? Per legge siamo assunti e valutati
solo per fare ricerca. Possiamo eventualmente svolgere, su base
volontaria, attività didattica (seminari, esercitazioni ecc) di
supporto ai corsi tenuti da professori associati ed ordinari. In
realtà una parte molto consistente dei corsi, circa il 40%, sono
svolti interamente dai ricercatori, come la maggiore, e forse la
migliore, parte della ricerca in Italia. La riforma Gelmini ci
umilia, ci mette ad esaurimento, non riconosce in alcun modo il
contributo all’offerta formativa che abbiamo dato e che diamo
volontariamente e gratuitamente da anni. A partire da questo anno
accademico, abbiamo deciso di anticipare ciò che è previsto dalla
“riforma” in discussione e di concentrarci quindi sulla ricerca,
non mettendoci a disposizione per l’insegnamento. Abbiamo deciso di
attenerci a quello che la legge prevede per il nostro ruolo. Abbiamo
deciso di dimostrare a tutti che l’Università rischia il
collasso a causa di questi tagli folli e dell’assenza di attenzione
nei confronti degli studenti, delle nuove generazioni, di chi dentro
l’Università si impegna e lavora ogni giorno con passione e
dedizione. Molti colleghi, professori associati e ordinari, stanno
aderendo in tutta Italia alla nostra protesta, rifiutando di assumere
gli insegnamenti che lasceremo scoperti. Moltissimi tra i colleghi
precari condividono e sostengono la nostra protesta.
A
causa di questa politica dissennata
l’’Italia diventerà presto un paese
socialmente e culturalmente più povero. Al fine di
salvaguardare la funzione strategica dell’Università in Italia,
per arrivare davvero a un’alta formazione pubblica di livello
europeo, per infrastrutture, diritto allo studio, dotazione di
ricerca, è necessario che forte e chiara si levi la nostra voce.
Vogliamo
una Università che aiuti il paese a crescere; una Università che
dia un futuro ai giovani e alla società. Perché l’Università è
il cervello di un paese moderno; l’Università e la Scuola
rappresentano i principali strumenti per rispondere alle sfide
sociali, culturali ed economiche del futuro. Non siamo ingenui: il
futuro e il benessere non ce li regaleranno certo la televisione e
l’ottimismo! Per questo, cari studenti, cari genitori, vi
chiediamo di comprendere e sostenere la
nostra protesta.
Non
lasciamo che ci rubino il futuro!
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