Sosteneva Umberto Eco che l’architettura non può essere rivoluzionaria: a livello politico perché, ammesso e non concesso che sia in grado di modificare i rapporti sociali, non troverebbe facilmente committenti istituzionali e a livello degli usi perché non e' credibile che gli utenti cambino di punto in bianco abitudini sperimentate e consolidate. Vi e' poi l’aspetto tecnologico. E’ illusorio pensare che un progettista di punto in bianco possa imporre rivoluzionarie tecnologie all’industria delle costruzioni.
Quale e' allora la strada che spesso rimane agli architetti più innovativi e sperimentali? Rappresentare la propria intenzionalità anche solo con il linguaggio delle forme.
Il risultato? L’architettura invece che risolvere i problemi li rappresenta.
E’ ciò che, per esempio, non riusciva a concepire Buckminster Fuller. E lo faceva dannare quando vedeva che la macchina per abitare di Le Corbusier, fingeva ciò che non era perché in effetti era un organismo costruttivamente tradizionale. O che anche a noi crea ancora stupore quando scopriamo che la Torre di Mendelsohn non e' una colata lavica, come vorrebbero i critici, ma una costruzione in tradizionalissimi mattoni pieni.
Architettura quindi come messa in scena? Anche. E ciò non e' un male, come vorrebbero alcuni moralisti. Nel senso che ciò che all’inizio viene esclusivamente rappresentato prima o poi, se ha valore, troverà un suo esito più concreto. Senza il precedente dei mattoni di Mendelsohn sarebbe, infatti, difficile pensare alle lamiere modellate da un programma di CAD CAM di Gehry. E senza i primi retorici, roboanti e mal funzionanti edifici High Tech poter arrivare ai più moderni ed efficienti edifici ad alta tecnologia della nostra contemporaneità.
articolo di Luigi Prestinenza Puglisi.
da presS/Tletter n.01-2010, la raccolta delle newsletter di Luigi Prestinenza Puglisi.
http://www.prestinenza.it http://www.presstletter.com
Quale e' allora la strada che spesso rimane agli architetti più innovativi e sperimentali? Rappresentare la propria intenzionalità anche solo con il linguaggio delle forme.
Il risultato? L’architettura invece che risolvere i problemi li rappresenta.
E’ ciò che, per esempio, non riusciva a concepire Buckminster Fuller. E lo faceva dannare quando vedeva che la macchina per abitare di Le Corbusier, fingeva ciò che non era perché in effetti era un organismo costruttivamente tradizionale. O che anche a noi crea ancora stupore quando scopriamo che la Torre di Mendelsohn non e' una colata lavica, come vorrebbero i critici, ma una costruzione in tradizionalissimi mattoni pieni.
Architettura quindi come messa in scena? Anche. E ciò non e' un male, come vorrebbero alcuni moralisti. Nel senso che ciò che all’inizio viene esclusivamente rappresentato prima o poi, se ha valore, troverà un suo esito più concreto. Senza il precedente dei mattoni di Mendelsohn sarebbe, infatti, difficile pensare alle lamiere modellate da un programma di CAD CAM di Gehry. E senza i primi retorici, roboanti e mal funzionanti edifici High Tech poter arrivare ai più moderni ed efficienti edifici ad alta tecnologia della nostra contemporaneità.
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