" questo spazio è stato pensato per dare un’opportunità agli studenti di architettura di Trieste di trovarsi, conoscersi e scambiarsi notizie informazioni esperienze….
come tutti sappiamo bene la situazione della facoltà è piuttosto precaria: mancanza di una sede, carenza di spazi, penuria di attrezzature, precarietà dei docenti… sono tutte condizioni che minano le nostre possibilità di vivere l’esperienza universitaria in maniera piena e produttiva. "

16 novembre 2008

Sulla Pedagogia - Alvaro Siza



"Da Casabella 770 Ottobre 2008

Queste note sull'insegnamento dell'architettura si basano su alcune convinzioni, certamente discutibili, derivanti dalla mia circostanziale e frammentaria esperienza come architetto e come docente, che così riassumo:"


"1. L'architetto non è uno specialista. La vastità e la varietà delle conoscenze che la pratica del progetto oggi comprende, la sua rapida evoluzione e progressiva complessità, in nessun modo permettono conoscenze e dominio sufficienti. Mettere in relazione -progettando-è il suo dominio, luogo del compromesso che non significhi conformismo, della navigazione nell'intreccio delle contraddizioni, il peso del passato e il peso dei dubbi e delle alternative del futuro -aspetti che spiegano l'inesistenza di un trattato contemporaneo di architettura. L'architetto lavora con specialisti. La capacità di concatenare, utilizzare ponti tra conoscenze, creare oltre le rispettive frontiere, oltre la precarietà delle invenzioni, esige un apprendimento specifico e condizioni stimolanti. Il problema di costruire una casa non è più isolabile. Ogni unità di progetto, per la sua accertata moltiplicazione, costituisce mediazione tra interessi generali e individuali -esige un'idea globale e una approssimazione dettagliata, simultaneamente, reali o simulate; esige relazioni tra piano e progetto, ognuno contenente l'altro, senza limitarlo o frammentarlo, o gerarchizzare, diminuendo senso nell'uno o nell'altro. Nella società in cui viviamo è impensabile il progetto senza dialogo, senza conflitto e incontro, senza dubbio e convinzione, alternativamente, nella conquista di simultaneità e di libertà.

2.
In termini generali, l'insegnamento contemporaneo dell'architettura non si connette con questa condizione, o perché questa non è reale, o perché ad essa non si presta attenzione (ed è questo che credo). Nella mia prospettiva, e di getto, l'insegnamento dell'architettura esige per lo meno: Lavoro quotidiano reale e non simulato, in interdisciplinarità. Gli interlocutori possono essere docenti, in esercitazioni costantemente coordinate, o a questo può corrispondere una correlazione tra corsi differenti, per il momento molto difficile da realizzare. L'acquisizione di conoscenze -sempre le conoscenze sono provvisorie e insufficienti- esige soprattutto l'apprendimento della capacità di interrogare, di continua apertura e di spirito critico, al contrario del Sillabario o Dispensa o Bibbia. La composizione del corpo docente deve essere organizzata in consonanza con tutto questo, oltrepassando questioni di carriera e gerarchia (o a quelle non si deve limitare). Una Scuola deve avere i mezzi per alimentare questa vitalità e flessibilità. L'apprendimento -l'acquisizione della capacità di apprendere continuamente- continua a concentrarsi, a mio intendere, nel disegno -nell'imparare a vedere, a capire, a esprimere- e nella storia -nel senso di conquista della coscienza del presente in divenire.
L'apprendimento della costruzione -della capacità di costruire con altri- non è dissociabile dall'architettura, per cui non devono esistere discipline differenti, semmai convergenti, in costante riconoscimento che nessun atto creatore si dissocia dalla materialità del suo accadere. Nessuna idea di opposizione tra paesaggio -percezione e costruzione del territorio- e oggetto -frammento del territorio- trova posto nell'insegnamento dell'architettura.

3.
L'architettura non permette e non accetta l'improvvisazione, l'idea immediata e direttamente trasposta. L'architettura è rivelazione del desiderio collettivo nebulosamente latente. Questo non si può insegnare, ma è possibile imparare a desiderarlo.
Perciò l'architettura è rischio, e il rischio richiede il desiderio impersonale e l'anonimato, a partire dalla fusione di soggettività e oggettività. In definitiva, in progressivo distanziamento dall'Io. L'architettura significa compromesso trasformato in espressione radicale, cioè, capacità di assorbire l'opposto e di superare la contraddizione. Apprendere questo esige un insegnamento alla ricerca dell'altro dentro di ognuno.
L'architettura, arte collettiva, è nemica dell'arroganza e della mancanza di ambizione, dell'elogio dell'autocastrazione (in nome della supposta limitazione dell'altro), della semplificazione, delle supposte ragioni sociali della mediocrità. Il desiderio collettivo si manifesta in ogni pietra e in ogni poro e rivelarlo è l'unica maniera di non essere "elitista". Il perseguimento del sublime si identifica con la funzione sociale dell'architetto, perché il desiderio del sublime non è invenzione dell'architetto. L'architettura esige la perfezione del dettaglio fino alla dissoluzione del dettaglio.
L'annuncio di speranza nei percorsi dell'architettura nasce nel rinnovato interesse degli artisti per questa disciplina -Donald Judd o Heerich o Cabrita Reis, o altri meno conosciuti. Questo interesse deriva dall'autenticità che essi trovano nell'architettura. È curioso osservare il percorso inverso di tanti architetti -la pretenziosa ricerca del titolo di artista, o il suo imbarazzante rifiuto, sotto i più svariati pretesti, proprio invocando, male, le parole di grandi architetti, come Adolf Loos. L'Architettura è Arte o non è Architettura. Non è madre delle arti perché ad esse non da origine, essendo come quelle autonoma e avversa alla dispersione."

Nessun commento:

Posta un commento